Storia della Farmacia

l'officina delle curiosità

La farmacopea delle streghe

Da un punto di vista generale, la storia delle streghe, dove da sempre paiono intrecciarsi concetti magici e religiosi con pratiche mediche e farmaceutiche, ci conduce dai miti greci, passando per il mondo latino, al Medioevo, fino ai processi alle streghe condotti con gran risonanza in tempi relativamente recenti.

Der Liebeszauber (L'incantesimo d'amore). Autore fiammingo del Basso Reno, Museum der bildenden Künste di Lipsia.

Der Liebeszauber (L'incantesimo d'amore). Autore fiammingo del Basso Reno, Museum der bildenden Künste di Lipsia. La fattucchiera è rappresentata nuda, nell'atto di aspergere un cuore conservato in un forziere. La donna, in un gesto pudico che nulla toglie all'erotismo, distoglie lo sguardo dallo spettatore, ma viene osservata da dietro, da un giovane dallo sguardo rapito. Nella parete di fondo uno stipetto a muro lascia intravedere preziosi vasi, forse contenenti gli ingredienti del filtro. Sparse a terra, le piante usate nel sortilegio (a destra in basso, riconoscibilissimo il mughetto, a sinistra sotto il forziere, l'Erba di San Giovanni, le rose e forse l'aquilegia, dietro il cane).

In latino le streghe erano dette lamie dal nome Lamia, la formosa regina con la quale, secondo la mitologia, amoreggiò Giove, incurante della gelosia della sua sposa Giunone. L’ira di costei, inesorabile e terribile, non si fece attendere. Giunone uccise i figli di Lamia che perse vista e senno a furia di piangere. Lamia ottenne a parziale consolazione dal suo divino amante, di potersi trasformare a proprio piacimento. Divenne così il terrore delle puerpere perché, o per rivalsa o perché unico rimedio capace di lenire il suo dolore, andava succhiando il sangue dei loro bambini. Dalla mitologia classica deriva dunque la figura della lamia usata anticamente per spaventare i fanciulli, il cui ricordo forse, permane nelle leggende occidentali collegate al vampirismo.

Singolarmente questo vocabolo si ritrova anche nella Bibbia ibi cubav litamia et invenit sibi requiem (Isaia, XXXIV, 14) dove San Girolamo più che al testo ebraico, si attenne alla versione dei Settanta e si servì di questo nome della tradizione mitica classica ritenendo che ad esso corrispondesse il nome Lilith del testo ebraico.

Nel rabbinismo anche questa parola designa un’entità notturna, ossia una specie di demone femminile che si credeva vagasse nelle tenebre per molestare i mortali tendendo soprattutto insidie ai bambini.

In Astrologia Lilith è simbolo della luna nera e della sua faccia nascosta, cosa che ha corrispondenza con le pulsioni profonde ed istintive dell’uomo, per cui per estensione era chiamata a rappresentare le streghe che facevano vita notturna.
Alle streghe si è dato anche il nome di sagae, sapienti che ambivano ad ampliare le loro conoscenze, dal verbo antiquato sagire che possiamo far corrispondere a quello che compone il nostro presagire. Ritroviamo questo verbo e questo concetto nel De divinatione di Cicerone.

Propriamente l’odierno vocabolo strega deriva dal latino strix, trasformatosi nel vocabolo latino-medioevale stria, adoperato anche in molti dialetti italiani. La parola strix significa barbagianni o civetta e più in generale ha dato origine al termine strigiforme che indica genericamente l’uccello notturno. In Sardegna con il termine sa striadura si indica una malattia provocata dal barbagianni. Presumibilmente i latini credevano che le civette si trasformassero in donne, le quali perciò presero il nome di strigi o streghe. Ma la civetta è anche l’animale totemico di Atena-Minerva, la dea della sapienza partorita con un colpo di scure da parte di Efesto dalla testa di Zeus e quindi ritorniamo, sembra, come in sagae, all’idea della donna sapiente.

I romani dei secoli posteriori, ignorando l’etimologia della parola, e separando quindi l’idea dell’uccello notturno da quella delle streghe, né conoscendo il rapporto che esisteva tra loro, hanno continuato a dare a questo termine un significato sinistro o temibile, dimenticando, sembra, l’ambivalenza con quello della saggezza.

In Francia l’ostetrica si chiama sage femme e sappiamo che le streghe medievali si occupavano elettivamente dei problemi legati al concepimento, all’aborto ed al parto.

La Strega di Albrecht Dürer. Incisione su rame, 1500 c.ca.

In diverse lingue la strega si indica con il nome della capra, come ad esempio in tedesco hexe che si può confrontare con il greco aix, capra. Questo termine ci ricorda anche la ninfa Egeria del re Numa, evidentemente una maga o una profetessa in veste di capra. E’ forse trovando questi vocaboli e non sapendoli collocare, o utilizzandoli coscientemente, che l’iconografia medievale, costruita tutta dagli ecclesiasti esperti di demonologia, dipinge la strega che vola sul dorso di un capro.

Una componente importante dell’attività delle streghe sembra essere stata quella della preveggenza attuata senza la mediazione di tecniche divinatorie, ma partecipando con la propria persona al processo e quindi vedendo il futuro e sentendo ciò che stava per accadere. Un’indicazione in questo senso è fornita dal termine francese che indica la strega, sorcière, colei che fa la sorte, che si avvicina come già visto al verbo sagire. Quindi per fare la sorte occorre sapere e il presagio di solito compare tramite una visione, una sensazione o un avvenimento naturale al quale si partecipa, anche se le streghe medievali praticavano spesso la divinazione attraverso strumenti divinatori, ad esempio gettando delle leguminose, diverse a seconda della zona di residenza, come le fave o i ceci.

Non è però questa la sede per approfondire in modo esauriente un argomento così complesso e vasto e per quanto affascinante possa essere, rimando ad altre letture per una eventuale disamina.

Dobbiamo comunque rilevare che negli studi su questa materia, si tende a generalizzare con troppa facilità, probabilmente perché appare veramente difficile fare chiarezza in un ambito che è restato, per scelta o per forza, nell’ombra. Con troppa leggerezza si usa il termine strega a tradurre parole come masca, fara, malefica, sortílega, lamia, pythonissa, stria, incantatrix, herbaria, fascinaria, zobiana, arlia, ciascuna delle quali ha una sua precisa derivazione etimologica ed ha avuto origine, collocazione, ruolo e destino diversi.

Da un punto di vista storico-cronologico moderno la nascita della figura della strega si può far risalire al 590 d.C., poco dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, ma la storia che può interessarci in questa sede diventa chiara più tardi.

Il 1484 è l’anno della grande costellazione, la molto temuta congiunzione di Giove con Saturno nel segno dello Scorpione, ritenuta da molti l’inizio di una nuova era. Un periodo difficile a partire da questo anno era stato annunziato da profezie e da pronostici. Anche la situazione politica iniziava a fermentare. Qualche anno dopo, nel clima profetico della Firenze di Gerolamo Savonarola, Giovanni Nesi un seguace di quest’ultimo, amico anche di Pico della Mirandola, guardava l’alba del nuovo secolo come quella di un mondo nuovo, segnato dalla conversione di tutti gli infedeli, e quindi anche degli eretici, nel quale si sarebbe realizzato finalmente il sogno di unità del mondo: un solo ovile, un solo pastore.

Il Malleus maleficarum in un'edizione tarda del 1669

Possiamo considerare il 1484 anche come l’anno in cui raggiunge la piena realizzazione il progetto di caccia alle streghe con la formulazione teorica della bolla Summis desiderantes di Innocenzo VIII a cui segue il Malleus maleficarumdel 1487, il famigerato “Martello delle streghe”, nelle due elaborazioni dello Sprenger e del Kramer, manuale dell’inquisitore che insegnava a porre le domande, ad estorcere le confessioni, a spiegare i rapporti tra il demonio e le streghe.

A partire da quell’anno, per più di due secoli, l’Europa fu illuminata dai roghi, gli autodafè che dovevano purificare il mondo dalle malattie dell’eresia e della stregoneria.

Il nodo non ancora sciolto sulle streghe riguarda il fenomeno nel suo insieme. Non si sa ancora con certezza, o almeno ancora non è stata accreditata definitivamente un’ipotesi, se sia esistito realmente un movimento organico di seguaci dediti a queste pratiche, esponenti di un’antichissima tradizione di derivazione sciamanica, tramandata di famiglia in famiglia o se, più che altro, si trattasse di un fenomeno sporadico e spontaneo, a carattere tradizional-popolare. Di sicuro la stregoneria fu omologata come organizzazione dalla violenta dalla repressione ecclesiastico-istituzionale che stigmatizzò in regole fisse alcuni caratteri comuni.

Il fenomeno delle streghe è stato molto spesso interpretato come una disciplina tenebrosa che ha concretizzato operativamente un legittimo sentimento di rivolta contro le condizioni di vita inumane imposte da una organizzazione classista estremizzata. La strega è così innalzata a simbolo della rivolta sociale, capace di minacciare l’ordine costituito.

In realtà da un punto di vista sociologico le streghe avevano ed esercitavano un “potere” non controllabile in seno alle piccole comunità rurali e ciò non poteva che essere malvisto dalla classe dominante, religiosa o politica che fosse.

L’attività farmacologo-terapeutica delle streghe, che solo per necessità di esemplificazione non mi sento di inserire genericamente nelle pratiche di stregoneria, si può ritenere verosimilmente e per una buona parte, una branca della magia operativa, dalla quale sembra attingere a piene mani per ottenere capacità interpretative e tecniche.

In tutte le pratiche delle streghe la legge di base più usata è quella della similitudine, del similia similibus curantur (o curentur ad interpretationem). Ne è un caso particolare il ricorso all’immaginazione, impiegata come strumento di alterazione non solo dell’immagine (o visione) della realtà, ma anche delle leggi che la regolano.
Questo pensiero era diffuso e generalmente accettato durante il Medioevo anche da gente colta, prima che la campagna contro la stregoneria e la terapeutica popolare, spingesse queste idee nel mondo dell’illecito e quindi dell’occulto. All’inizio del quattordicesimo secolo Henri de Mondeville scriveva che secondo lui l’azione terapeutica delle sostanze esercitata solo per contatto, come nel caso degli amuleti, va posta sullo stesso piano degli incantesimi, degli scongiuri, dei sortilegi e dei malefici che, inefficaci di per sé, possono tuttavia portare alla guarigione:

(…) perché, dato che la forza (virtus) dell’anima modifica la complessione del corpo (…) se lo spirito umano ritiene che una cosa, la quale in se stessa non gli è di alcun aiuto, gli sia utile, accade che grazie alla sola immaginazione questa cosa soccorre il corpo.

Ma l’immaginazione, questa capacità di rappresentarsi cose non presenti in atto alla sensazione, in uno stato di coscienza spesso artificialmente alterato (cosa che l’accomuna ai riti di origine sciamanica), non era usata soltanto a fini terapeutici immediati, bensì ad ottenere anche le attività caratteristiche, pur se non esclusive delle streghe: la dilatazione del tempo e il “volo” al sabba.

Il sabba, incisione tedesca del 1510

Il termine sabba fu usato per la prima volta nel Flagellum Maleficarum, scritto dal teologo di Poitiers Pietro Mamoris e pubblicato nel 1490, negli anni in cui è stata disegnata la figura della strega con le sue attività e con i suoi strumenti operativi.

D’altro canto l’affermazione di poter volare è riscontrabile in tempi di molto anteriori al fenomeno delle streghe. Se ne riscontrano tracce nei miti più antichi. Il Libro dei morti egizio ad esempio riporta diverse ricette che permetterebbero all’uomo di mutarsi in falco. Le religioni totemiche abbondano di tecniche per tramutarsi in uccelli. Ma ciò che più importa, e che appare tanto distante dal nostro modo di pensare occidentale, è che il volo, questa esperienza così sensibilmente e materialmente reale non era nè “in somnis” nè “corporaliter”. Si è anche pensato ad una sorta di trance sunnambolica, ma anche questa è una interpretazione carente. In questo senso sono gli studiosi della stregoneria presso popoli “primitivi” a dare una spiegazione che è la più vicina alla realtà.

Leggende asiatiche ed elleniche concordano nell’affermare che il segreto principale della capacità di volare andrebbe ricercato in una pianta che cresce sui monti e che andrebbe trattata insieme ad altri ingredienti; più di qualche studioso ha creduto di poter identificare questa pianta con l’aconito, una ranuncolacea contenente un alcaloide estremamente velenoso, l’aconitina, che agisce sull’uomo paralizzando tra l’altro le terminazioni sensitive del corpo.

L'aconitina, un alcaloide diterpenoidico, è stata isolata per la prima volta dal chimico tedesco Albert Hesse nella seconda metà dell'800. È il secondo veleno vegetale più attivo al mondo dopo la nepalina, con una dose letale dai 2 ai 5 mg

Diversi miti riportano che le foglie dell’aconito erano fatte macerare insieme ad altri ingredienti, incorporate nel grasso e quindi spalmate, in unguento, su tutto il corpo. La perdita superficiale della sensibilità tattile stimola nell’immaginazione la sensazione di dilatazione del corpo permettendo contemporaneamente di avere la sensazione di camminare su qualcosa di impalpabile, di muoversi tra le nuvole. Questa sensazione può essere coltivata dalla strega, canalizzata ed essere usata attraverso la legge di similitudine per alterare la realtà.
Ma attenzione, il credere che l’acquisizione di questi “poteri” derivi dagli effetti di piante ad azione psicotropa, è una supposizione errata, fuorviante e pericolosa. Nella stregoneria, nella sua accezione più vera le piante, i filtri, ma anche gli amuleti, le parole, le orazioni sono solo dei mezzi controllabili per “vedere” ed “agire” ma non sono gli unici e neanche in fin dei conti, i più importanti. Per le streghe, la realtà del quotidiano consiste in un flusso continuo di decodificazioni percettive che noi, appartenenti ad un determinato milieu culturale abbiamo sin da piccoli imparato ad assumere fino a farla diventare come l’unica interpretazione possibile. Queste persone per la loro particolare costituzione psichica, che sia acquisita attraverso un’iniziazione o innata, si pongono al di fuori, considerando la nostra realtà semplicemente una delle tante descrizioni possibili. Tale capacità di “vedere” le pongono nelle migliori condizioni per “agire” ed è in ciò che risiede il loro “potere”; tuttavia questa consapevolezza non è priva di inconvenienti. Spesso le streghe sono persone solitarie, escluse dalla comunità e relegate in abitazioni a margine dei centri abitati, vengono consultate solo in caso di effettiva necessità e di malavoglia.

Quanto riportato è soltanto un esempio, così come va precisato che l’aconito è soltanto una delle molteplici droghe impiegate nelle operazioni di stregoneria. La tradizione ha lasciato in proposito più documentazione di quanto si possa credere.

L’atropina e la scopolamina, alcaloidi di base dell’attività farmacologica della belladonna, hanno fatto di questa pianta un altro ingrediente principale delle ricette delle streghe che con essa sembra ottenessero l’eccitazione e le allucinazioni necessarie alle operazioni che volevano eseguire. Anche lo stramonio, ancora oggi conosciuto a livello popolare come erba delle streghe o erba del diavolo e ancora il giusquiamo venivano usati come allucinogeni. La bufotenina contenuta principalmente nella cuticola dell’Amanita muscaria veniva fatta accumulare dalla pelle del rospo nella quale il fungo si poneva a riposare prima di essere impiegato nelle ricette delle “stregherie”.

Come testimoniano questi albarelli in ceramica del XVIII sec., destinati alla conservazione del grasso umano (Axungia hominis), conservati nel Deutschen Apothekenmuseum di Heidelberg, mentre le streghe erano accusate di impiegare parti del corpo umano per comporre malefici, nelle spezierie si vendevano sostanze tratte dai cadaveri (immagine da Wikimedia Commons)

Ma queste stesse sostanze erano impiegate anche a puro scopo terapeutico, per cui il giusquiamo si usava come distensivo della muscolatura liscia, la belladonna come antispastico e rimedio sicuro per fermare le contrazioni uterine nell’aborto, lo stramonio come antiasmatico, la digitale per i disturbi cardiaci, la segale cornuta per calmare i dolori del parto. La stessa segale cornuta, che scatenò nel corso di tutto il basso Medioevo il terribile flagello del fuoco sacro o fuoco di S. Antonio, era un’altra delle piante più usate dalle streghe.

Della Belladonna diceva il Mattioli: "Mangiandosi il suo frutto fa diventare gli huomini come pazzi e furiosi, simili agli spiritati, alle volte ammazza facendo dormire fino alla morte".

L’uso terapeutico di piante altamente tossiche da parte delle streghe, ad un occhio attento appare ragionato e non avventato; infatti era utilizzato anche quando l’esercizio della medicina era già ben controllato e ciò vuol dire che non si temevano effetti indesiderati e pericolosi o che perlomeno che i “pazienti” pur essendo consci dei pericoli, si fidavano.
Scrive frate Francesco Maria Guaccio nel suo Compendio della stregoneria pubblicato nel 1608:

Le Streghe ed i Maghi abitualmente addormentano le persone con pozioni e malvagie formule, con determinati riti, per poter somministrare i veleni, rapire i bambini, uccidere, rubare, stuprare, commettere adulteri (…) si ottiene ciò con veleni soporiferi naturali (…). E non sono favole, perché sono molte le sostanze che infuse o avvicinate ad esempio alle narici producono naturalmente non soltanto sonno, ma anche insensibilità ai tormenti più acuti; sono sostanze che i chirurghi conoscono assai bene e usano quando vogliono tagliare qualche arto del corpo umano senza far provare alcuna sensazione di dolore (…). Molte sono le sostanze a questo uso conosciute dai farmacisti, come il loglio, l’erba mora, il giunco, detto volgarmente euripice, la mandragora, il castorino, il papavero e tutte quelle che hanno la facoltà di indurre sonno profondo in virtù della forza e del potere che la natura ha dato loro.

Continua frate Guaccio scrivendo che i preparati delle streghe sono:

La "Mumia" è un altro caratteristico esempio di utilizzo di parti di cadavere nella galenica ufficiale del XVIII sec. Deutschen Apothekenmuseum di Heidelberg

La "Mumia" è un altro caratteristico esempio di utilizzo di parti di cadavere nella galenica ufficiale del XVIII sec. Deutschen Apothekenmuseum di Heidelberg (immagine da Wikimedia Commons)

(…) fatti con composizione e mescolanze di veleni di genere diverso; ad esempio foglie, erbe, fuscelli, radici, animali, pesci, rettili velenosi, pietre e metalli, che talvolta vengono ridotti in unguento oppure in polvere. Bisogna sapere che le Streghe avvelenano introducendo internamente il veleno o applicandolo esternamente mediante contatto. Nel primo modo attraverso il cibo e le bevande, perché il più delle volte si mescolano veleni tritati in polvere. Nel secondo modo attraverso l’unzione del maleficando, che è addormentato, per mezzo di umori, acque, olii o grasso o altre sostanze analoghe, contenenti veleni di diverso tipo. La forza e la potenza di quell’unzione è tale che a poco a poco, persistendo il calore del dormiente stesso, penetra nelle carni e si insinua nei più profondi visceri e provoca forti dolori nel corpo, come dice Spineus. Avvelenano anche in un terzo modo, per inalazione: questo veneficio è il peggiore di tutti perché la sostanza venefica viene aspirata dal naso e giunge al cuore.

Ha gran significato da questo punto di vista il fatto che Paracelso, il quale nel 1527 diede alle fiamme i testi ufficiali del mondo medico accademico, dichiarasse pubblicamente di essere debitore alle streghe ed alle fattucchiere di una parte importante del suo sapere medico. Egli stesso ci ha lasciato una ricetta per l’unguento magico che provoca sogni con la sensazione di partecipare al sabba:

100 grammi di sugna, 5 grammi di hashish, aggiungi un pizzico di fiori di canapa, di rosolaccio, di radice di elleboro polverizzata ed un pugno di girasole pestato.

Questa preparazione è chiamata il 1° unguento satanico di Paracelso.

A leggere i resoconti dei processi per stregoneria del ‘500 emergono in modo evidente due elementi tipici nell’attività delle streghe, la pratica della magia e la pratica della medicina.
Si nota in modo pressoché costante un trasformarsi dei processi per stregoneria in una indagine sulle attività terapeutiche della donna inquisita. Talvolta invece è la guaritrice, riconosciuta tale e con licenza di svolgere la sua limitata attività terapeutica, che vede inquisita la propria attività alla ricerca di atti magici che permettano l’edificazione di un processo per stregoneria. E’ questo il caso evidente di molti dei processi celebrati nell’area di competenza della illuminata Serenissima, che comunque è da considerare la zona franca per le streghe, poiché non fu eseguita mai una condanna al rogo per stregoneria e le pene comminate non giunsero mai alla pena di morte.

La strega e la mandragora, Henry Fuseli, 1812

Henry Fuseli, The Witch and The Mandrake (La strega e la mandragora), china e gessetto rosso, 428 x 545 mm , 1812 c.ca - Ashmolean Museum, Oxford. Seguendo una antica tradizione, la mandragora, la cui radice è stata a lungo associata con la stregoneria a causa dei potenti effetti farmacologici, è raffigurata come una piccola creatura di fattezze umane.

Queste persone, che conosciamo attraverso i resoconti dei processi, non furono condannate perché operavano guarigioni, ma perché, con i loro metodi, si ponevano di fatto, fuori e in contrasto con l’autorità religiosa, che avocava, ai soli sacerdoti il diritto di “segnare”, alla classe medica di curare e agli apotecari di allestire farmaci.

Ma le streghe-guaritrici, che conoscono e si spiegano perfettamente la ragione dell’ostilità dei medici, sembra che talvolta si illudano di poter essere ritenute innocenti dalla Chiesa, alla quale si mostrano pronte a rivelare i segreti appresi talvolta in modo soprannaturale.

Purtroppo la curiosità dei giudici non è stimolata dal desiderio di conoscere, bensì dalla necessità di evidenziare quanto di diabolico entrasse nelle loro operazioni. Il tribunale condanna le imputate in quanto ritenute colpevoli di eresia e non si preoccupa affatto di accertare l’efficacia o la pericolosità delle loro ricette. Cosa del resto pressoché impossibile dato il livello della scienza medica di allora, secondo la quale la malattia era opera di influenze malefiche e di umori corrotti.

Scriveva Bernardo Rategno nel suo trattato De strigis, pubblicato nel 1505, riportato anche da Marisa Milani nel suo Antiche pratiche di medicina popolare nei processi del S. Uffizio:

(…) quando medici competenti giudicano, da talune congetture o circostanze, che quella malattia non è avvenuta per una debolezza naturale, né per una qualche causa naturale interna, ma è giunta dall’esterno, e, se dall’esterno, quando non proviene da infezione velenosa, in quanto il sangue o lo stomaco erano a tal punto infettati di umori maligni; allora, dopo un sufficiente esame, giudicano l’effetto della malattia di origine malefica.

Il maleficio si palesa quando medici competenti ed esperti si accorgono che la malattia è incurabile, che il malato non si può ristabilire con alcun medicamento o rimedio naturale, anzi, piuttosto, i medici lo vedono deperire senza apparente ragione, di giorno in giorno.

Per cui il curare e magari guarire malattie che i medici dichiaravano incurabili significava invadere il campo del soprannaturale e di conseguenza peccare di eresia.
Ma questi interventi delle guaritrici erano connaturati da tempi immemorabili, con la società rurale. La Chiesa stessa, preoccupata di altri problemi, li aveva ignorati per secoli, ma a partire dal tredicesimo secolo ne rivede l’importanza volendo estendere il suo dominio anche ai ceti sociali più bassi, secondo i disegni di Innocenzo III. D’altro canto sorgeva in quell’epoca il nuovo pericolo determinato dalla crescente urbanizzazione che vede i ceti subalterni trasferire nelle città tutte le vecchie superstizioni contadine ancora vive e non integrate nel cristianesimo.

Nel volgere di pochi decenni, gli stessi fatti, ritenuti in un primo tempo di scarso o nessun valore, acquistano per i giudici sempre maggior importanza e dove prima potevano esserci dei non luogo a procedere, ora si va dritti alla tortura e alla condanna quasi certa.

Nell’esame delle pratiche di guarigione si presentano molti problemi. Oltre alla difficoltà di capire le pratiche che risultano certamente estranee alla nostra formazione culturale, esiste spesso la difficoltà di identificare il quadro patologico sovente racchiuso in una espressione che può esserci anche familiare, ma che nel migliore dei casi è estremamente vaga. E’ difficile interpretare i termini dialettali con i quali si indica l’infermità e che spesso racchiudono secondo la moderna schematizzazione più tipi di malattie. Non sempre si riescono ad identificare tutti i componenti dei rimedi e non si ha quasi mai l’indicazione delle quantità.

Dioscoride, De Materia Medica ,Cod. Med. Gr. I - Napoli, Biblioteca Nazionale

La cosa stupefacente sono le guarigioni ottenute e spesso dimostrate. Che vi fossero delle guarigioni è fuori di dubbio, ma capire secondo gli schemi della medicina moderna, come e perché i malati guarissero, è impossibile.

Spesso nella professione medica, come anche tra i guaritori, contano più i successi che gli insuccessi, perché sono i primi che procurano notorietà, per cui il valore del terapeuta è dato dal numero e dal valore dei successi, anche se questi sono minimi rispetto agli insuccessi, ma nel caso delle streghe in particolare il discorso è diverso.

Curiosamente non risultano molte denunce per il fallimento, fatto che sarebbe stato con molta facilità propagandato dagli avversari, dei loro trattamenti terapeutici; le denunce semmai venivano sporte perché la strega si rifiutava di prestare la sua opera, o perché si presumeva che avesse operato dei malefici, ma di rado per gli insuccessi, malgrado molti dotti si peritassero di mettere in guardia la gente dalla falsità e dalla malafede delle streghe che per poter guadagnare denaro promettevano cose impossibili o si arrogavano capacità che non possedevano.
Nel Congresso notturno delle lammie, Girolamo Tartarotti ricorda il caso riportato dal teologo Gerson di una spigolistra (ciarlatana) francese del 1424:

(…)la quale per far danaro senza fatica, imboccava novelle alla gente credula, dando ad intendere di essere una delle cinque femmine mandate da Dio per redimere innumerabili persone, di conoscere alla cera l’interno, e le colpe d’ognuno, e di liberare ogni giorno tre anime dall’Inferno alle quali cose procurava di dar credito con estasi, visioni e marche.

Un altro caso riguarda una tale Caterina Donati, processata a Trento nel 1710, che:

(…)pretendeva di sapere per rivelazione lo stato de’ defunti, quanto l’anime dovessero stare nel Purgatorio, e di che suffragio abbisognassero. Si vantava d’aver sudori eccessivi, che dalle persone di pasta dolce venivano raccolti e conservati per divozione, et assicurava molti della gratia di Dio e d’altri privilegi particolari.

Questo genere di streghe corrisponde alle nostre santone, capaci di guarire identificando il male attraverso delle visioni.

Le streghe conoscono molto bene l’impiego dei semplici e lo stesso che troviamo riportato nei processi è spesso descritto negli erbari ad uso di farmacisti e medici. Ad esempio troviamo riportate sia sul Mattioli che sul Durante molte delle virtù terapeutiche attribuite alla malva nell’uso terapeutico delle streghe, le quali non potevano avere imparato la loro arte dai libri perché quasi sempre analfabete. Il recente libro l’Erba delle donne mette in evidenza l’uso delle rose rosse, che una certa Lucretia Mariani, strega inquisita nel Lucchese, impiegava in empiastri nella regione cardiaca. Il Mattioli dice:

(…)ristringono e infrigidiscono e maggiormente riescono allo scopo quelle secche (…) la decottione delle secche fatta nel vino e poi spremuta, vale à i dolori delle orecchie, della testa, delle gengive, degli occhi (…) e della matrice, unto con una penna (…) Le rose secche senza spremere il succo, medicano, empiastrate, le infiammazioni dei precordj, l’humidità dello stomaco e il fuoco sacro. Le secche trite in polvere si spargono in su le scorticature delle cosce e mescolami negli antidoti delle ferite, e in quelle composizioni che chiamano anthere. I fiori, che sono in mezzo delle rose, secchi e polverizzati sopra le gengive proibiscono i flussi del corpo e lo sputo del sangue.

Riporta il Viola in Piante medicinali e velenose della flora italiana a proposito della Rosa gallica (Rosa rossa, Rosa maggese, Rosa mistica):

I petali della Rosa gallica, parte usata attualmente in medicina ed iscritta nella farmacopea ufficiale contengono una sostanza colorata, la cianina, legata ad un sale organico, tannino, acido gallico e quercitannico, zucchero, materie grasse ed una essenza formata da stearoptene solido e da una parte liquida, che è un miscuglio di geraniolo, citronellolo, linalolo, nerolo, ecc.

A proposito delle azioni farmacologiche:

La Rosa viene attualmente usata come astringente e tonico gradevole. All’interno si usa l’infuso ed il vino di Rose contro i catarri, le diarree croniche, la leucorrea e come tonico alimentare. E’ usata anche nelle lesioni polmonari iniziali. All’esterno si usa l’infuso come collutorio, come collirio astringente, come risolutivo contro ulcere atoniche, tumori freddi, oftalmie croniche. Il miele rosato è impiegato specialmente per le affezioni della bocca e delle gengive.

Naturalmente tutti i semplici a seconda della zona o delle stagioni, venivano utilizzati come rimedi e quindi tutte le erbe, sia le selvatiche che le alimentari, avevano un loro impiego. All’uso dei semplici spesso si aggiungevano sostanze di derivazione animale, come ad esempio il sangue (molto usato quello di piccione), l’urina, la polvere di ossa e il grasso anche umani.

Spesso le cure erano complesse e con una posologia articolata che comprendeva più rimedi. Ecco un esempio di prescrizione di una strega processata nel mantovano, per aver guarito una ragazza affetta da dimagrimento progressivo diagnosticato come malia: decotto di diverse erbe, un bicchiere di succo di ruta e di finocchio, un biscottello mangiato con succo di malvagia, la malva. La assunzione di tutti questi ingredienti provoca il vomito alla ragazza permettendole di buttare via la malia e di guarire. Molto spesso il ricorso al vomito permetteva di risolvere le situazioni giudicate come malie o malefici e comportava la guarigione immediata della malattia.

Ancora da L’erba delle donne apprendiamo che la strega Jacoba, detta Baldracha fu processata dall’inquisizione modenese nel 1536 con l’accusa di aver stregato una donna, certa Elisabetta, con un grappolo d’uva selvatica. La donna dice di non aver avuto più pace da quel momento fino a quando non vomita:

(…) certe festuge, due agugie de mazola, uno pezo de cordella, una croxeta de stagno, uno cordoncello de seta negra involuppata un cordone cum cinque groppi, uno lazo, una pezola e certi capelli involuppati cum arte simile.

Lo stesso libro nota che il vomitare oggetti non è pura superstizione creduta dal popolino ignorante e riporta in una nota un caso descritto da Gregory Zilboorg nel suo Storia della psichiatria:

John Lange uno dei clinici più famosi, descrive il caso di un suicida su cui venne fatta un’autopsia e nello stomaco del quale furono trovati un pezzo di legno, quattro coltelli, due pezzi di ferro e un ciuffo di capelli. Cita pure il caso di una donna che aveva vomitato davanti ai suoi occhi due chiodi di ferro, due aghi e un ciuffo di capelli.

Ancora oggi la stessa fenomenologia, si ripresenta in molteplici casi descritti da studiosi, anche estranei al mondo religioso, di possessione diabolica.

Molto difficilmente i rimedi erano impiegati come pura prescrizione medica, essi erano sempre accompagnati da atti magici oppure la loro virtù guaritrice era esercitata per contatto semplice o mediato. A volte non era neanche necessario usare medicamenti “fisici” ma bastavano alcune parole seguite da particolari segni, come nel caso dei secret valdostani. Questi secret erano trasmissibili con l’obbligo di mantenere il silenzio sul “dono” verbalmente ricevuto al momento del trapasso dal precedente depositario.
La tradizione prettamente contadina dei secret si può ritrovare con esigue variazioni in tutta la penisola.

Domenica de Boari inquisita nella curia vescovile di Treviso cura la mala ora e cioè le conseguenze della malia e del malocchio gettati in vari modi: direttamente sulla persona, sulla biancheria lasciata fuori la notte ad asciugare oppure per mezzo di incantamenti. Le malattie curate dalla Boari risultano essere: stati di deperimento per carenza di assimilazione, l’epilessia e le convulsioni infantili. Singolare risulta il trattamento. Innanzitutto segna la camicia, la spiega e vi fa sopra una croce dicendo:

Torna in drio, molla ora, non ghe franzer le sue osse, non ghe suzzar il suo sangue!

poi segna direttamente il malato allo stesso modo sul petto, quindi fa cogliere delle foglie di ruta, le fa scaldare nell’olio e con la ruta stessa unge il dorso del malato disegnando una croce dalla spalla destra al calcagno sinistro e dalla spalla sinistra al calcagno destro. Ogni volta ripete la formula ed infine raccomanda di porre il malato a letto ben coperto con un drappo caldo. Se il malato ha il capo gonfio di vesciche lo segna sul viso con la stessa formula, quindi prepara delle fumigazioni per il viso con foglie d’olivo, cera ed assenzio, fumigazioni che possono essere terapeutiche o preventive.

Questo trattamento completo fu eseguito su un’ anziana mendicante storpia di una mano da tanto tempo, che guarì completamente. Il trattamento andava eseguito per tre mattine consecutive. Domenica de Boari aveva licenza di segnare rilasciata dalla curia. Periodicamente doveva rinnovare la sua licenza eseguendo un trattamento al cospetto del vicario e quindi sottoponendosi ad interrogatorio.

Un’altra guaritrice inquisita a Modena nel 1519 spiega come opera per diagnosticare un maleficio in un bambino. Chiede alla madre del bambino di prendere della herbam bonam e prepararne un decotto con acqua di canale, con il quale la guaritrice lava con cura il bambino pronunciando le formule prescritte sub silentio. Il liquido deve quindi essere posto sotto la culla del bimbo in un catino con immersa una croce di legno. Se dopo poco tempo l’acqua in superficie si rapprende, ciò è indice della presenza del maleficio.

Degna di nota è la guarigione operata su un bambino che tutti giudicavano morto. L’imputata aveva succhiato una per una tutte le giunture del corpo del bambino mentre gli cospargeva il corpo di sale. Aveva continuato questa operazione fin quando il bambino non prese a lamentarsi gridando: oimè state ferma’.

Racconta al Sant’Uffizio una certa Elena, chiamata la Draga Indemoniata perché è posseduta e guidata da uno spirito che si chiama Drago:

L'artemisia abrotanum in un erbario dell'800 conservato presso il Dipartimento di Botanica del Museo di Storia Naturale di Londra

Io vivo filando qualche pugno di lino, sono paralizzata dal lato destro e quasi cieca da 33 anni, ho la capacità di diagnosticare il male di un bambino da un suo vestitino. Riesco a capire se è consunto per colpa delle streghe o se ha lo spasimo, convulsioni o spavento. Se è stregato prendo cinque cuori di ruta, cinque di abrotano, cinque di assenzio, cinque di erba stella e cinque spicchi di aglio. Mentre eseguo il trattamento dico cinque pater nostri e cinque ave marie ad onore delle cinque piaghe di messer Gesù Cristo. Prendo inoltre del carbone della notte di Natale. Faccio pestare tutte queste cose tra due pietre di marmo e vi faccio spargere sopra due soldi di olio di alloro. Con quell’impiastro faccio ungere il bambino disegnando una croce dalla spalla, giù, sul corpo, dicendo: Al nome di Cristo e della gloriosa Vergine Maria e della Santa Trinità, che il Signore sia quello che ti libera da questa infermità. Questa unzione si fa il terzo o l’ultimo giovedì della luna. La domenica successiva faccio il bagno al bambino con acqua contenente della liscivia e le foglie rimaste della ruta che erano intorno ai cuori, lo lavo disegnando la croce come è stato già fatto per l’unzione. Finito di fare il bagno, quando l’acqua del mare scende per la bassa marea, faccio gettare l’acqua del bagno nel canale dicendo: Così come va via quest’acqua nel mare, così vada via et scampa ogni tua infìrmità. Lo stesso trattamento è valido per lo spasmo.

Esaminiamo i componenti dell’operazione come si fa di solito nelle opere che si occupano di questi argomenti: la ruta è da sempre un’erba officinale usata a scopi terapeutici. I suoi frutti sono usati contro le malattie delle vene ed hanno proprietà antispastiche e tranquillanti. L’olio essenziale agisce sull’utero e risulta velenoso a dosi elevate, è irritante se usato esternamente. La radice di ruta introdotta nell’utero provoca l’aborto.

L’abrotano, come la ruta, si coltiva negli orti, contiene un alcaloide (abrotanina) e trova impiego nelle forme di deperimento organico, nell’anemia e nella clorosi, nelle forme reumatiche e gottose e nelle scrofole. L’assenzio in olio essenziale o in infuso è usato contro l’anoressia e i disturbi del fegato, si impiega infine contro le verminosi dei bambini. L’erba stella usata in cataplasmi con la piantaggine è efficace contro le ulcere varicose, nelle piaghe e nelle pustole. L’aglio possiede numerose proprietà medicamentose.

Il numero cinque è usato chiaramente con valenza magica, infatti viene ripetuto anche per spiegarne l’effetto, le 5 piaghe di Cristo, che evidentemente hanno sostituito un emblema precedente.
Il carbone ottenuto dalla legna bruciata la notte di Natale è magico per simpatia, poiché quella è la notte in cui si trasmettono i segreti e la notte in cui gli animali parlano.
Impiegare due pietre per fare la poltiglia significa infondere all’olio la forza della terra.
L’olio di alloro, che si ottiene dalla spremitura delle bacche, è impiegato in fitoterapia per i dolori ed i gonfiori di origine reumatica e gottosa.

Ma queste spiegazioni, comuni per gli studiosi del fenomeno della magia, derivano da associazioni di significati di tipo antropologico e forse accrescono la confusione senza chiarire nulla di significativo e di utile alla sua comprensione, noi crediamo che il tutto vada osservato in un’altra ottica. Ma affrontare direttamente il problema può non essere facile, in alcuni casi si può provare in modo abbastanza certo che le inquisite nel rispondere alle domande davano ricette e metodi terapeutici falsi o perlomeno falsati, specialmente quando entravano nei particolari e facevano questo evidentemente per mantenere il segreto del vero trattamento. Sempre Elena la Draga, che appare tanto disposta a collaborare dicendo tutto ciò che sa, alla domanda su quali infermità sappia curare risponde tra l’altro:

E se una donna avesse eccessivo scolamento bianco e rosso, prescrivo dì prendere un’oncia di senna e tre bezzi di uva passita, che si pongano in infusione in un pentolino con un bicchiere e mezzo di sciroppo, la sera si fa bollire e si lascia che si consumi di un terzo. Ciò che rimane si conserva al caldo fino al mattino, quindi si cola e si somministra al malato, quindi segna il malato ben pulito e lavato.(…) Et è cosa mirabile.

Uno degli elementi che appaiono più frequentemente e con usi e significati diversi nella medicina dell’epoca dei processi alle streghe e nei processi stessi è l’uso del sangue.

In questa stampa tedesca del XVI sec. vediamo rappresentato il caso emblematico di Simonino di Trento (1472-1475), canonizzato come "martire fanciullo trucidato crudelmente dai Giudei" e tolto dal martirologio nel 1965. Chiaro esempio di antisemitismo, rientra nella casistica dell' "accusa del sangue", incriminazione antisemita diffusa a partire dall'XI secolo, secondo la quale gli ebrei userebbero sangue umano per motivi rituali. Tale infamante accusa, spesso del tutto gratuita, veniva rivolta anche alle streghe

Analizzando alcuni verbali d’accusa rileviamo che le presunte streghe usavano largamente il sangue e spesso, come accade di solito nelle loro attività, con finalità opposte. Già in età alto medievale non era stato raro, da parte dei redattori di testi giuridici, come anche nelle iconografie precristiane, l’impiego dei termini lamiae, strigae e striges per indicare demoni femminili, accusati di succhiare il sangue ai bambini.

Nei processi è verità accettata che le streghe si trasformino in gatte e la notte si rechino nelle case per succhiare il sangue ai bambini, soprattutto in fasce. Le streghe stesse sotto tortura, con chissà quale attendibilità, confessavano i misfatti. Una confessione del ‘600 nel tribunale di Udine recita:

Andavamo in forma di gatto e con un’ongia di gatto li levavano un poco di pelle dalla sommità di tutte le dita delle mani, poi con la bocca succhiando queste aperture foravano le mie compagne tutto il sangue delle creature e l’inghiottivano, poi rimettevano quella pelle nel suo luogo, e si rinsaldava in modo che non si conosceva macchia veruna, solo che quelle creature restavano senza sangue e senza carne tutte consumate solo con pelle e ossa, così bisogna che mòino.

Nei trattati del ‘500 leggiamo:

Vanno anche nelle case di quegli infanti che vogliono assalire, introducendosi e balzando, trasformate in gatti, attraverso le finestre e camini. Salite sul letto di questi piccoli, succhiano loro il sangue dalle dita delle mani e dei piedi, dalla bocca dello stomaco, dalle fontanelle e dalle altre parti tenere di questi corpicini, i quali da ultimo, per questo motivo, si spengono di consunzione dopo alcuni giorni.

Molto spesso il sangue succhiato dai bambini veniva mescolato a cenere e quindi impastato con una focaccia o un biscottino che il bambino doveva mangiare, l’effetto poteva essere, a seconda dei casi, il maleficio o la guarigione dalla malia.
Il sangue poteva anche essere usato nelle malie d’amore. Il sangue della donna, estratto o mestruale, dato da mangiare con inganno al marito o all’uomo amato lo legava indissolubilmente.
In realtà il sangue umano era impiegato come rimedio farmacologico anche nella medicina ufficiale. Ne ritroviamo descritto l’impiego con le relative preparazioni nei trattati degli speziali. Anche il Mattioli lo raccomanda come antidoto per i morsi degli animali velenosi.
Ma una cosa interessante è che alcune pratiche terapeutiche delle streghe prevedevano che si succhiasse sulla pelle di alcune zone del corpo dei bambini, senza far fuoriuscire il sangue. E’ il caso già visto, del metodo di succhiare le giunture per far riprendere coscienza nei casi forse di coma profondo, ma si trovano anche altri impieghi, facenti parte di un rituale complesso:

Et mi portò alcune herbe strocolate [pestate] in una scudela, che sapevano da aglio, et mi disse che dovesse segnar questa putina cominciando da la man zancha [parte sinistra] tirando fin al piede destro, et dicessi Nel nome di Dio e della Santissima Trinità, et dicessi: o Adriana, le strighe t’han magnato, li Tre Maggi ti guarirano. Et mi disse che nel tempo che signava, cioè in quelli giorni, non si desse cosa alcuna ad altri. Et lecava quella putina nella fronte e nelle tempie e poi spudava, et facea la croce sopra quelli spudi, e diceva non so che, che io non intendevo.

Ed un altro teste:

Questa Camilla ha segnato duo o tre volte una mia fantolina de tre anni, che io me ritrovai presente una volta, quando la segnava, che la liccava con la sua lengua il fronte della creatura, et poi spudava in terra, et diceva alcune cose piano, che non se intendeva.

Molto probabilmente il vero gesto non era quello di leccare, ma quello di succhiare qualcosa dall’interno della testa e gettarlo via sputandolo. Da questo gesto simbolico di succhiare il principio della malattia può essere stato molto facile far derivare la pratica di succhiare il sangue a fini malefici

Alexandre Marie Colin, The Three Witches from Macbeth, olio su tela del 1827 - collezione privata. Notare il "bastone di Asclepio" anche chiamato impropriamente "caduceo a un serpente". La mitologia ci narra di come Glauco, figlio di uno dei Minosse, inseguendo un topo, sia scivolato entro una giara colma di miele. Asclepio, subito intervenuto, mentre esaminava il corpo del fanciullo privo di vita, si accorse che un serpente gli si stava avvicinando: percosse con il bastone il rettile e lo uccise. Subito, comparve un secondo serpente con in bocca un ciuffo di erba, che pose sul capo del compagno morto. Il serpente tornò in vita e scappò via, lasciando a terra il ciuffo d’erba con il quale Asclepio risuscitò il giovane Glauco. Da allora il bastone ed il serpente furono considerati sacri ad Asclepio e alla Medicina. Quando Asclepio morì e fu assunto tra gli dèi, anche il serpente fu posto tra gli immortali nel cielo, con la costellazione del Serpentario.

Dall’esame anche superficiale delle fonti storiche, siano esse tutte attendibili o meno, emerge una figura di strega totalmente diversa da quella tradizionale, della fattucchiera infarcita di superstizioni. Ciò che risalta è la medichessa, la guaritrice, l’ostetrica, l’amministratrice di una medicina popolare talvolta empirica, spesso ma non sempre, in contrasto latente o esplicito con le regole del cristianesimo. Come grande conoscitrice dei filtri, la strega può far recuperare la potenza o il desiderio sessuale perduti, può far rinverdire e rinsaldare i matrimoni, può garantire la fertilità e completare il matrimonio con i figli, ma può anche insegnare la contraccezione impedendo le gravidanze non volute, può procurare l’aborto con rimedi e con mezzi magici o meccanici.
C’è anche chi ha voluto avvalorare le accuse di infanticidio giustificandole con l’assegnazione alla strega di una funzione di regolazione demografica. Questa valutazione mi sembra azzardata e del tutto gratuita: le streghe erano dette infanticide perché uccidevano i bambini prima di nascere, ma soprattutto perché dovevano essere screditate agli occhi della popolazione.
La contraccezione, l’aborto e perfino l’infanticidio sono stati praticati con naturalezza e continuità nei costumi pre-cristiani. Ogni popolazione si è sempre preoccupata di mantenere un equilibrio accettabile tra la necessità di procreare ed il controllo dell’aumento numerico della comunità, rapportandolo alle condizioni economiche, ambientali, storiche e politiche dell’epoca. Le misure andavano dal celibato e dalla posticipazione del matrimonio all’allattamento prolungato, alla contraccezione ottenuta con mezzi artificiali e con l’intervento della magia.

Nelle varie zone della terra le pratiche contraccettive erano diverse, da quelle puramente magiche quali potevano essere l’intrecciare cortecce di piante selvatiche, a quelle che prevedevano l’astensione dai rapporti sessuali nei periodi fecondi. In America tra gli indiani Cherokee le donne masticavano la cicuta acquatica, usavano tamponi composti di foglie, radici ed erbe e diete appropriate che permettevano di evitare l’ovulazione. In altre zone si praticavano lavande con succo di limone oppure con l’acqua della decozione di piante adatte. L’antropologia contemporanea può fornirci una enorme quantità di esempi che nessun seguace della moderna scienza medica ha mai pensato di porre sotto verifica e studiare in modo adeguato. Nelle società greca e romana si perfezionarono le conoscenze sulla contraccezione e sull’aborto che furono ben distinti da un punto di vista medico. Ne danno testimonianza molti autori come Aristotele, Lucrezio, Plinio, Dioscoride, Sorano, Ezio. Tutti questi autori collocarono la tecnica anticoncezionale nell’ambito della medicina preventiva.
Se Empedocle e Platone erano pronti a prendere in seria considerazione il problema del controllo demografico e quindi a considerare normale e più che lecito l’aborto, non è altrettanto chiara l’esigenza di Ippocrate nell’inserire nel suo giuramento il passo destinato a divenire famoso e ad essere strumentalizzato per ben più di un millennio e che recita: similmente non darò ad una donna un pessario abortivo. Ippocrate era contrario agli abortivi? Possiamo supporre, deducendolo da studi antropologici sul periodo delle streghe, che l’uso del pessario fosse accompagnato da pratiche magiche e che queste pratiche fossero in contrasto con le regole o con i presupposti della religione praticata dalla setta di Ippocrate. Quest’ultimo infatti non doveva essere contrario in linea di principio all’aborto se in un’altra sua opera Sulla natura del bambino, consigliava alla donna di procurarselo con il saltare sollevando i piedi il più in alto possibile.

Per il cristianesimo l’uso di pratiche antifecondative o abortive è stato sempre un peccato, in quanto considerato atto contrario alla vita, salvo alcune deroghe nei primi secoli che, continuando la tradizione delle concezioni del giudaismo ellenistico, giustificava l’aborto nei casi di indigenza che avrebbe impedito la sopravvivenza del bambino. Dopo i primi secoli chi procurava l’aborto era da considerare al di fuori della Chiesa e fino al 1074, quando si tenne il Concilio di Rouen, era da esecrare anche la donna che morendo avesse impedito la nascita del bambino che aveva in grembo. Infatti le donne morte in gravidanza o le donne morte di parto non potevano essere sepolte in terra benedetta. Su questo terreno vissero le streghe fino a quando furono portate alla ribalta dai tribunali dell’Inquisizione. Quei processi, che sempre includono nei capi d’accusa l’aborto procurato e la preparazione di filtri contro la fecondità, dimostrano chiaramente che i sistemi anticoncezionali erano comunque molto diffusi durante il Medioevo.
Questa è l’opinione di Sprenger ne Il martello delle streghe:

La verità esposta sopra viene provata al tempo stesso da quattro orribili atti compiuti sia sui bambini ancora nell’utero materno sia sui neonati. Siccome i diavoli devono eseguirli per mezzo delle donne e non degli uomini, quell’omicida si dà da fare per trovare alleati fra le donne più che fra gli uomini. E di tal fatta sono le opere.
I canonisti, che trattano dell’impedimento ottenuto per stregoneria più di quanto non facciano i teologi, dicono che la stregoneria fa sì non solo che qualcuno, come è già stato detto, non riesca a compiere l’atto carnale, ma anche che la donna non concepisca o, qualora concepisca, in seguito abortisca. A questi si aggiungono un terzo e un quarto modo: qualora non riescano a provocare l’aborto, uccidono poi il bambino oppure lo offrono al diavolo.
Intorno a questi primi due metodi non sussiste alcun dubbio perché l’uomo con mezzi naturali e senza l’aiuto dei diavoli, per esempio con erbe e con altri impedimenti, può fare in modo che la donna non possa generare o concepire. Ma di questo si è già trattato. A proposito degli altri due metodi occorre esaminare se possano essere praticati anche dalle streghe e certo non sarà necessario dedurre argomentazioni qualora i giudizi e gli esperimenti di estrema evidenza rendano le cose più credibili.
Quanto al primo dei due metodi, certe streghe, che vanno contro l’inclinazione della natura umana, anzi contro le condizioni proprie di tutte le bestie, eccettuata solo la specie del lupo, sono solite divorare e mangiare i bambini. A questo proposito l’inquisitore di Como, di cui si fa menzione altrove, ci ha raccontato che per questo motivo era stato chiamato a fare l’inquisitore tra gli abitanti della contea di Barbia. Infatti, un tale, cui era stato rapito un bambino dalla culla, mentre spiava un convegno notturno di donne, aveva visto e constatato che il bambino veniva ucciso e divorato, dopo che ne era stato bevuto il sangue. Così, in un solo anno, quello immediatamente scorso, mandò al rogo quarantuno streghe, mentre altre si erano rifugiate presso l’arciduca d’Austria Sigismondo. A conferma di questo vi sono alcuni scritti di Qiovanni Nider nel suo Formicarius. Il ricordo del recente libro e di ciò che egli scrisse è ancora vivo, per cui non risulta incredibile come può sembrare. Sono proprio le streghe ostetriche a causare i danni peggiori, come hanno raccontato a noi e ad altri le streghe pentite, le quali dicevano che nessuno nuoce alla fede cattolica più delle ostetriche. Infatti quando non uccidono il bambino, lo portano fuori dalla camera come se dovessero fare qualcosa, ma sollevatolo in aria lo offrono ai diavoli. Nella seconda parte del settimo capitolo si parlerà dei metodi che osservano le streghe in queste cose vergognose. Ma prima di affrontare questo argomento occorre una premessa a proposito del permesso divino. Infatti fin dall’inizio è stato detto che tre cose concorrono necessariamente all’effetto stregonesco: il diavolo insieme con la strega e il permesso divino.

Di fronte a questo quadro vi erano invece delle guaritrici, spesso l’unica o l’ultima risorsa per le donne medievali, capaci di dosare la belladonna contro le minacce d’aborto e la segale cornuta o la cantaride per procurare l’aborto. Vi erano anche ostetriche che non prendevano neanche in considerazione il parto cesareo perché sapevano studiare ed eventualmente modificare manualmente la posizione del feto e facilitarne l’espulsione con fumigazioni, pozioni ed impacchi. Tutte queste pratiche mantenevano il parto all’interno delle funzioni fisiologiche senza assegnare la maternità alla competenza della patologia.

Nell’arco di diversi secoli, a seconda del contesto in cui vennero considerate, le guaritrici furono ridicolizzate o combattute come medichesse senza istruzione, cariche di superstizioni che si arrogavano il diritto di curare le malattie, diritto che si voleva monopolio dei medici accademici. Ciò accadeva anche se i medici e gli apotecari stessi, talvolta impotenti di fronte alla malattia, erano costretti per i loro familiari o per la propria professione, a ricorrere alla tradizione popolare, al consiglio o all’operato di quelle stesse che erano inquisite per herbarìe, incanti e striggamenti.

Alla fine del ‘500, quando le streghe avevano già subito forti colpi e quando la campagna diffamatoria era stata già portata avanti con impegno, c’era chi proclamava sotto processo:

Signori, io piglio oglio di aneo, camamilla et màsticci et altri ogli secondo le malarie, et piglio anco dell’oglio commun, dove metto dell’aglio et della ruta et imbronio et faccio bollir, che è bon per li vermi et per la renella brutta, che è una cosa che nasce alli fantolini. Et queste cose le ho imparate da Maritana Malanona, che è morta, che era comare in Murano et a Venetia. Era una donna sufficiente, che andava a far collegio con li medici.

Viene detto a chiare lettere che i medici chiamavano a consulto le fattucchiere, ma la cosa più significativa è che gli inquisitori non se ne stupiscono, non replicano, evidentemente non lo trovano affatto strano.
In un altro caso è la moglie di un medico che ha paura che la sua malattia dipenda da una fattura ed invia una cuffia da notte alla strega, è un teste che lo racconta e non l’accusata:

(…) ritrovandomi in Venetia per distrigarmi d’alcune mie liti contra mio fratello, io hebbi amicitia con una gentildonna moglie del’Eccellente medico fisico Parisano, che sta in Venetia, chiamata signora Helisabetha, la qual mi pregò che gli dovesse trovare una massara in Friuli. Così dunque io venni in Friuli, et qui a Latisana trovai quella Francischina, cognata di Brezzanai, et la persuase a dover andar per massara con questa gentildonna. La qual andò et, quando stete alquanto con detta gentildonna, essa gentildonna s’amalò et stete amalata gran tempo. La qual desiderava che fusse conosciuta la sua infirmità, dubitando d’esser fatturada. Un giorno questa Francischina gli disse che si ritrovava una Apollonia di lacò in Latisana, che benissimo conosceva coloro che erano fatturati. Finalmente questa Francischina venendo a Latisana, la sudetta gentildonna ordenò che dovesse parlar con questa Apollonia a veder se conosceva la sua infermità, et li dette una scuffia.

Addirittura i religiosi, malgrado tirasse forte aria di scomunica non erano completamente esenti dall’influenza delle streghe e si hanno situazioni ancora più scottanti del caso dei confessori che per lungo tempo non vietarono a queste ultime di operare, dice una inquisita con aria abbastanza insolente al procuratore che la interroga:

Doppò che il nostro Piovan me disse che questa non era bona oration da dir, io non l’ho più detta. Che diresti se un prete se ha fatto segnar da mi con mandarmi le cordelle! Il qual ha nome don Zuane da Precenise, pocco lontan della Tisana, che fu già tre anni.

Anche stavolta nessun commento e nessun moto di stupore, l’interrogatorio continua normalmente.
Malgrado fossero state isolate, messe al bando, costrette ad abiurare, esiliate e molto spesso eliminate fisicamente, le guaritrici continueranno la loro opera in condizioni sempre più difficili e rischiose. Tanto che a tutt’oggi, nell’era del computer, alcune di quelle pratiche ancora sopravvivono. Ancora oggi al margine della legalità e ancora oggi, come al tempo dell’inquisizione, vivono nel sottobosco dei pochi guaritori popolari rimasti.

Esaminando oggi alcune delle antiche pratiche e confrontandole con gli atti dei processi in cui esse sono descritte, abbiamo la conferma che esisteva da parte delle streghe la coscienza di essere in una posizione contrapposta al sistema di pensiero dominante. Una teste, chiamata a descrivere l’operato di una guaritrice racconta l’operazione:

Io li diedi una cordella o cimossa, d’una banda io la tenivo et lei teniva dall’altra banda, et sopra detta cordella piano diceva alcune parole, et con la cordella mi misurava il brazzo destro, et la prima volta trovava la cordella ch’era slongata, al fin con le sue superstitioni fece scurtar la detta cordella. Poi mi ordenò che dovesse detta cordella metter sotto la testa, così feci.
So un’altra volta ancora che, sendo amalato un fiol del sudetto Antonio mio padrone, lo condusse a casa di donna Fior Carratiera, la qual segnò detto puto con la cordella, che ‘l puto era cinto [fasciato]. Lei lo dislegò, et misurava il brazzo destro al puto, dicendo alcune parole secretamente. Doppò dette le parole et misurato, m’ordenò che metesse la cordella sotto la testa alla creatura. Et tre matine fu segnato, et le parole, che diceva, io non intendeva.

Ancora un’altra donna racconta:

Cominciò sopra questa schuffa [cuffia] a segnar, et con la spana [palmo] della mano misurava per vedder se la schuffa si slongava o schurtava. Il che fece anco sopra una cordella.

In un’altra confessione è detto:

Quando mi venivano portate delle cordelle, io le spannava [misuravo col palmo] con la mano, et alcune volte me le mesurava sul brazzo, et li dicevo secondo che me pareva a me, che havevano più o manco male. Et questo lo consideravo da me, perché li interrogavo come si sentivano. Loro me lo dicevano, et così io consideravo da me et li davo quelli remedii secondo le infirmità.
Interrogata se si faceva dare cordelle o altri vestimenti dell’infermo, et a che l’adoperava:
respondit: Signor sì, che molte volte me si portava a casa delle cordelle o altri panni de infermi, quando erano lontani che io non potesse andar da loro, et sopra detta cordella io facevo el segno della croce dicendo: In nome del Padre, del Fio et del Spirito Santo. Amen. Et li dicevo una oration sopra, che è questa:
Al nome de Dio et della Verzene Maria, che metta la sua man inanzi la mia. Cinque Santi sta in terra, che non t’aida, et tre sta in cielo, che t’aiderà, Qasparo, Marchio et Baldissera, sì te chiama, (et li dicevo il nome dell’infermo), Catherina sì te chiama, et ti segna da mal de strigadura, de mal de scontradura, de mal de occhiadura.
Et poi li facevo il segno della croce: In nome del Padre, del Fio et del Spirito Santo: Amen.

Poco dopo, nello stesso interrogatorio, la stessa inquisita dice:

Io li dicevo delle bugie per haver del pan et del vin et per guadagnar qualcosa per viver. Et sopra quella cordella io diceva quella prima oration, che comincia Al nome de Dio etc. Et io, per dir la verità, col spanar la cordella la faceva slongar et scurtar secondo che pareva a me, ma mi pareva una buffonaria questa, ma dicevo alli infermi che dovessero pregar Iddio et dir chi sette et chi quindici pater nostri et quindici ave marie, acciò che la Divina Providentia provedesse al suo mal.

E’ evidente il tentativo di dichiararsi imbrogliona per non incorrere nell’accusa di eresia, cosicché questa parte della dichiarazione ci fa dubitare dell’intera confessione.
Nella ricerca fatta negli anni ’70 da Luisa Selis sulla presenza delle streghe in Sardegna oggi, è riportato di una guaritrice settantacinquenne sarda che, tra altre numerose cose che pratica, tratta l’itterizia:

Per diagnosticare s’istriadura (l’itterizia) Antonia misura con un filo di lana sarda il malato, scalzo e con le braccia distese, dalla testa ai piedi e dal dito medio sinistro al dito medio destro. Se la persona è affetta da itterizia l’altezza è inferiore alla larghezza. Antonia, per curarla, taglia a pezzi il filo e lo brucia assieme a rosmarino, incenso, cera benedetta e qualche piuma bianca di barbagianni dentro una tegola che fa passare per tre volte sulla testa del malato facendo segni di croce e recitando formule magiche; poggia per terra la tegola sulla quale il malato deve saltare per tre volte inspirando i fumenti.

Un’altra guaritrice che impiega il metodo della cordicella risiede attualmente nel Casentino, a Verna di Poppi, e tratta lo sforzo e cioè le malattie dello stomaco che una volta si dicevano originate da sforzi fisici particolarmente intensi. Per la sua operazione, la guaritrice impiega una cordicella non più lunga di un metro legata ad un chiodo infisso nel muro. La cordicella, a partire dalla sua estremità libera, riporta, segnata con un nodo, la lunghezza dell’avambraccio della guaritrice, dal gomito alla base del pollice.
Di fronte al malato che vuol essere curato, la guaritrice prende la misura del proprio avambraccio e, in caso di malattia di sua competenza, la cordicella risulta inspiegabilmente, ma in modo visibile, più lunga dell’avambraccio. La guaritrice, recitando sottovoce parole sue, continua a misurare la cordicella che, inspiegabilmente si accorcia fino a tornare della lunghezza dell’avambraccio. A quel punto il malato, che può anche non essere presente, è guarito.
La stessa pratica è descritta in un processo del ‘500:

Madonna Helisabetha, mia padrona, (…) mi mandò là di donna Fior Carratiera a far segnar Lucieta, sua figliuola, (…) et mi dete una fassa, sopra la qual essa Fior con le mani tre volte disse: In nomene Patris, Filii et Spiritus Sancii. Amen. Et ordinò a me che dovesse dir cinque pater nostri et altro tante ave marie. Et così portai la fassa alla mia padrona, et guarì la creatura. Et misurava la fassa con il brazzo, cominciando dal gomito (…) fino al deto polece.

Come abbiamo visto nelle citazioni riportate nei processi, le streghe, alla richiesta di quali fossero le formule magiche, recitano sempre formule religiose. La guaritrice del Casentino ingenuamente racconta che la sua formula prevede la recitazione della nota preghiera Ave Maria, ma recitata al contrario, a partire dall’ultima parola fino alla prima. Alla richiesta se lo ritenesse un peccato, ha risposto che non può essere peccato fare del bene, e guarire dei malati è certamente fare del bene, il modo ha poca importanza.
Dobbiamo notare che nelle pratiche di iniziazione alla stregoneria è prevista la recitazione del Pater Noster al contrario, al fine di liberarsi del legame del battesimo. Questo porterebbe a confermare l’ipotesi che il fenomeno delle streghe sia da ricondurre ad un movimento segreto organizzato, tendente a destabilizzare l’organizzazione di potere esistente allora. Per acquistare uno spazio a livello di massa, il movimento avrebbe fatto leva, con le capacità guaritrici delle pratiche magiche, sulla necessità di combattere la malattia, una necessità molto sentita in una realtà nella quale non vi erano altri mezzi per ricercare la guarigione.

Comunque sia, anche se oggi è difficile dire cosa sia rimasto di questo insieme di antiche conoscenze ed esperienze, abbiamo visto anche se molto brevemente, che di tanto in tanto sorgono degli sprazzi di luce, talvolta alimentati da proverbi in dialetto, altre volte da storielle o da alcune abitudini ancora presenti a livello popolare. Questa poca luce lascia indovinare una imponente e forte tradizione di stampo pre-cristiano, distinta e legata alla realtà, ma al di sopra del vivere quotidiano, nella quale confluivano capacità ed esperienze vigorose e preziose, vissute forse individuaimente, ma sempre ricondotte all’interesse e all’uso collettivo, come è tipico nel mondo della medicina tradizionale.

John William Waterhouse (Roma, 1849 – Londra, 1917) - Magic Circle, olio su tela, 1886

John William Waterhouse (Roma, 1849 – Londra, 1917) - Magic Circle, olio su tela, 1886 (immagine Wikimedia Commons)

Bibliografia per approfondire

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Laureato in Farmacia ad indirizzo fitochimico e fitofarmacologico, svolge la sua attività come farmacista territoriale nel comune di Etroubles, noto luogo turistico e storico della Valle del Gran San Bernardo.

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