2. Riconoscere
Il più antico documento riguardante piante ad uso farmaceutico, risale ai Sumeri ed Accadi (3° millennio a.C.). Il papiro di Ebers, che risale al 1550 a.C., ci dà una misura della buona conoscenza degli Egizi sull’uso di molte droghe (per ”droghe” si intendono i prodotti naturali non composti puri, minerali, vegetali , animali e loro parti), quali semi di ricino e gomma arabica.
Durante il Medio Evo pochissimi progressi furono fatti a favore della farmacognosia (dal greco pharmakon= farmaco e gnosis=conoscenza). Si assiste a un evidente decadimento nell’ iconografia degli erbari, elaborati sempre più sul sentito dire che su valutazioni oggettive. Le immagini che sono giunte a noi si distaccano dalla realtà e concedono tutto al mistero, alla magia, all’alchimia. C’è un abisso tra il Codice di Iuliana Anicia, il Dioscoride viennese, del VI sec., dove ancora si teneva in gran conto la rappresentazione “dal vero” delle caratteristiche morfologiche delle droghe, e gli erbari figurati del XIV sec. La maggior parte di queste opere medioevali si possono considerare delle semplici perifrasi degli autori della classicità. Questo decadimento è attribuibile in larga misura alla presenza di movimenti filosofico-mistici che nel Medio Evo contribuirono all’affermazione del Cristianesimo ed al distacco dalle cose terrene tra cui lo studio della Natura. Dai racconti evangelici sulle guarigioni miracolose, dalla propaganda sul divino fatta dalla maggioranza dei suoi ben poco illuminati adepti, ne scaturì la convinzione , nonostante che la Chiesa avesse più volte ribadito che la conoscenza della Natura non fosse in disaccordo con le sue leggi, che alla base del recupero della salute ci fosse, più che il farmaco, la preghiera.
Dal Cinquecento in poi si assiste alla riscoperta della scienza classica e alla rivalutazione dell’uomo. Finalmente si procede alla riidentificazione delle droghe animali, vegetali, minerali e si prende coscienza del fatto che molti prodotti naturali erano rimasti sconosciute agli antichi. L’avvento della stampa faciliterà, in quel periodo, la divulgazione delle vecchie e nuove acquisizioni. Nel 1544 veniva stampato a Venezia per i tipi di Niccolò Bascarini il De Materia medica di Dioscoride commentato da Pietro Andrea Mattioli. Con la sua pubblicazione il Mattioli immetteva sul mercato un’opera nuova in quanto ampliava di molto la conoscenza di Dioscoride, proponeva l’esatta individuazione delle droghe e dava chiare indicazioni sulla preparazione dei farmaci.
Si ritornò quindi alla copia dal vero e in Italia si raggiunsero livelli eccelsi. Massimo esponente di questa arte rinnovata fu Jacopo Ligozzi. L’Aldrovandi ebbe a definirlo un “pittore eccellentissimo che giorno e notte non attende ad altro che dipingere piante ed animali di tutte le sorti, […] ai quali non manca se non lo spirito”. Ligozzi aveva studio presso il Casino Mediceo di via Larga a Firenze, di dirimpetto all’Orto Botanico.
Qui nei primi anni del suo soggiorno fiorentino il Ligozzi ritrasse con straordinaria precisione le piante rare ed officinali che vi erano conservate. Le sue raffigurazioni sono uno splendido esempio di bravura e di analisi scientifica.
In quegli anni le farmacie iniziano ad arricchirsi di piccoli mobili dotati di cassetti divisi in più scomparti per le diverse droghe. Questi armadietti erano utilizzati quali campionari di confronto all’atto dell’acquisto delle materie prime e anche ad uso didattico per gli apprendisti.Con il XVI e XVII secolo si assiste all’introduzione di nuove droghe provenienti dai paesi extraeuropei. Tra queste, cacao, tè, caffè, radici di Ipecacuana, cortecce di China. Queste droghe rare e preziose spesso venivano commercializzate in frammenti o in polvere pertanto poteva risultare difficile accorgersi di una loro eventuale sofisticazione. E molti commercianti disonesti volsero la cosa a loro guadagno. La situazione non migliorò molto fino all’introduzione dello strumento principe dell’indagine scientifica: il microscopio.
Il microscopio venne inventato nella sua forma semplice in Olanda da Antoni van Leeuwenhoek (leggasi Lèivenhuck) nella seconda metà del XVI sec. e nella sua forma composta da due olandesi, Zaccharias Janssen e suo figlio, verso il 1590, ma per gli oggettivi limiti tecnici di questi strumenti ci volle più di un secolo perché si affermassero negli ambienti scientifici ed infine venissero adottati come sistemi di controllo nelle farmacie. Anche se in Francia, Germania e soprattutto in Inghilterra il microscopio divenne importante strumento di indagine nel riconoscimento delle droghe vegetali (testimoni sono le numerose raccolte di preparati microscopico-farmacognostici ad uso delle farmacie), in Italia questo strumento, non ebbe pari fortuna e rare, anche se presenti, erano le farmacie che ne potevano disporre. Alla fine dell’Ottocento in Italia imperavano ancora le idee linneane di un secolo prima e la via aperta a suo tempo dagli sforzi di Malpighi non era stata seguita dai suoi successori; erano rimaste inascoltati gli sforzi di valentissimi ricercatori quali Carradori, Gasparrini, Vittadini, Bassi e sopra tutti Amici che con i suoi studi micromorfologici in campo botanico cercò di porre le basi per una nuova disciplina non più basata sulla sola catalogazione e deposito di campioni essiccati.
Si trattò di passare dalla concezione delle droghe in quanto meri reperti, una pura rassegna di modelli tassonomici macroscopici, alla considerazione di questa in base a dati anatomici, fisiologici, biologici e biochimici e quindi anche di attività farmacologica. Fu però difficile uscire dall’idea di una farmacognosia che, arricchita da una virtuosità sistematica ammantata di latino, poco o nulla concedeva alla ricerca.
Il 1803 è una data epocale nella Storia della Farmacia. Serturner isola nel suo retrobottega la morfina dall’oppio e apre una nuova era nella ricerca, caratterizzata dall’isolamento ed identificazione chimica dei composti farmacologicamente attivi a partire dalle droghe. La scoperta della morfina fu presto seguita dall’isolamento di molti altri composti importanti come la stricnina (1817), la chinina e la caffeina (1820), la nicotina (1828), l’atropina (1832), la cocaina (1855), la digitalina (miscela di glucosidi cardioattivi) nel 1868.
In farmacia si richiese di valutare la qualità dei medicamenti allestiti in farmacia con materie prime che obbligatoriamente dovevano rientrare negli standard richiesti dalla Farmacopea. Operazioni chimiche finirono per sostituire i semplici esami visivi, olfattivi e tattili nel riconoscimento delle sostanze. Acquistò una maggiore importanza la determinazione del grado di purezza e della attività farmacologica delle sostanze impiegate, in un epoca in cui vi erano poche garanzie sulla stabilità nel tempo di un composto o dell’incompatibilità di questo con altri. Il chimico-farmacista si attrezzò di nuovi strumenti di indagine quali reagentari, bilance analitiche, apparecchi per il punto di fusione, ebullioscopi, densimetri, anse di platino e bunsen.
La rivoluzione ottocentesca si realizzò compiutamente tra la prima e la seconda guerra mondiale con l’istituzione delle farmacie chimiche nelle quali si può trovare in embrione la prima industria farmaceutica italiana.
Tuttavia fino alla seconda guerra mondiale la maggior parte dei medicamenti rimase di origine naturale e molti preparati venivano ancora confezionati come polveri, tinture, o semplici estratti. Molte farmacie custodivano un numero relativamente ampio di droghe nel retrobottega. Continuò ad essere indispensabile per il farmacista conoscere, identificare e valutare le materie prime di cui poteva disporre. Lo studio dell’aspetto morfologico, macroscopico e microscopico prima e analitico poi, erano le parti più importanti di questa disciplina.
Dagli anni ’40, i composti isolati allo stato puro o di sintesi entrarono nell’uso molto di più delle droghe o degli estratti semplici. La preparazione dei farmaci si trasferì alle industrie farmaceutiche, le droghe furono considerate alla stregua di materie grezze per l’isolamento di composti farmacologicamente attivi e la valutazione della loro qualità (la cui misura divenne la purezza o il titolo in principi attivi per materie di origine organica), demandata a sistemi di analisi fisico-chimici al di fuori dalla portata dei sempre meno forniti ed aggiornati laboratori delle farmacie.
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